Regia di Cristina Comencini
Recensione di Zina Borgini
Il matrimonio è un affare di cuore molto complicato: a Natale e nelle feste comandate, quando le famiglie si uniscono per festeggiare insieme, questa istituzione, messa a nudo nella sua intimità, subisce grossi scossoni.
Con “Matrimoni” Cristina Comencini descrive bene i sentimenti di molte coppie in bilico tra l’utopia di un matrimonio perfetto e l’inevitabile voglia di trasgressione che scaturisce dalla noia della routine e dell’abitudine.
Convinta che quella matrimoniale sia una situazione innaturale, la regista ha scelto di raccontarcela a partire dalle frustrazioni delle sue protagoniste, una visione quindi molto femminile del legame più antico che vincola gli esseri umani.
E’ proprio Giulia, nella cui casa si deve festeggiare il Natale, con la sua famiglia apparentemente tranquilla e conformista, che, mentre attende i parenti alla stazione, analizza la sua vita e la scopre improvvisamente noiosa e ripetitiva; anziché aspettarli al binario convenuto, prende il primo treno che la condurrà a Trani, sua città d’origine. Stupita e priva di ogni senso di rimorso, si ritrova ad assaporare il piacere di una libertà da lungo tempo dimenticata.
La sua scomparsa innesca una catena di equivoci che coinvolge tutta la famiglia, composta da coppie già molto instabili. Il film vuole essere uno spaccato molto reale delle vite di persone comuni, che vivono le loro esistenze fingendo, sbagliando e sperando. Persone che si amano senza conoscersi a fondo, che si cercano forse solo per soffocare la solitudine, che si odiano per rancori mai risolti, che non sanno più mettere a fuoco i loro veri desideri.
L’evento scardinante di una scomparsa incomprensibile offre a tutti i personaggi di questa saga italiana l’occasione di riparlarsi finalmente dopo tanto tempo, di raccontarsi i proprio sogni, i desideri nascosti, le debolezze, le ferite ancora aperte. Questi loro bisogni, sottaciuti per vacuità o semplice amarezza, li pone di fronte a una fragilità disarmante in cui tutto si ricompone, come per miracolo, con un senso di comprensione inaspettata.
Il matrimonio è un affare di cuore molto complicato: a Natale e nelle feste comandate, quando le famiglie si uniscono per festeggiare insieme, questa istituzione, messa a nudo nella sua intimità, subisce grossi scossoni.
Con “Matrimoni” Cristina Comencini descrive bene i sentimenti di molte coppie in bilico tra l’utopia di un matrimonio perfetto e l’inevitabile voglia di trasgressione che scaturisce dalla noia della routine e dell’abitudine.
Convinta che quella matrimoniale sia una situazione innaturale, la regista ha scelto di raccontarcela a partire dalle frustrazioni delle sue protagoniste, una visione quindi molto femminile del legame più antico che vincola gli esseri umani.
E’ proprio Giulia, nella cui casa si deve festeggiare il Natale, con la sua famiglia apparentemente tranquilla e conformista, che, mentre attende i parenti alla stazione, analizza la sua vita e la scopre improvvisamente noiosa e ripetitiva; anziché aspettarli al binario convenuto, prende il primo treno che la condurrà a Trani, sua città d’origine. Stupita e priva di ogni senso di rimorso, si ritrova ad assaporare il piacere di una libertà da lungo tempo dimenticata.
La sua scomparsa innesca una catena di equivoci che coinvolge tutta la famiglia, composta da coppie già molto instabili. Il film vuole essere uno spaccato molto reale delle vite di persone comuni, che vivono le loro esistenze fingendo, sbagliando e sperando. Persone che si amano senza conoscersi a fondo, che si cercano forse solo per soffocare la solitudine, che si odiano per rancori mai risolti, che non sanno più mettere a fuoco i loro veri desideri.
L’evento scardinante di una scomparsa incomprensibile offre a tutti i personaggi di questa saga italiana l’occasione di riparlarsi finalmente dopo tanto tempo, di raccontarsi i proprio sogni, i desideri nascosti, le debolezze, le ferite ancora aperte. Questi loro bisogni, sottaciuti per vacuità o semplice amarezza, li pone di fronte a una fragilità disarmante in cui tutto si ricompone, come per miracolo, con un senso di comprensione inaspettata.